domenica 11 marzo 2012

Prima di lasciarci, Almanacco Agrario 1898, Capitolo IV

Capitolo IV
Prima di lasciarci
E' sempre dolorosa la divisione, il distacco, l'abbandono di cuori che si vollero bene, che sinceramente s'amarono. Possono quindi immaginarsi i lettori, se è cosa amara anche per Don Mentore staccarsi per sempre dai lettori dell'Almanacco! Ma lo credereste? Anche nel distacco c'è alle volte delle gioie che se non superano il dolore, almeno lo diminuiscono assai. E qual'è la gioia che diminuisce il cordoglio a Don Mentore nell'abbandonare i suoi amici? Eccola, così. Non vi dico addio, ma arrivederci! Sì, la fede in cui siamo nati e vissuti ci addita, che la presente vita è e deve essere una preparazione alla vita avvenire, alla vita beata in paradiso. Noi tutti, e lo so, abbiamo consumati questi pochi giorni terreni per meritarci gli eterni. Ed è veramente questa persuasione che mi porta via tutti i crepacuori nel distaccarmi da voi. Dunque non addio, ma colla madre del Manzoni, arrivederci in cielo! Propriamente così. Vi ho sempre detto e ripetutamente inculcato che se noi ci siamo messi su questa nuova via del moderno progresso, la cooperazione rurale, l'abbiamo fatto per solo amor del prossimo, chiedendo a Dio il favore di sacrificarci in pro de' fratelli, sperando in compenso da Lui il perdono di nostre colpe piccole e grandi, fidati sul noto detto: Charitas operit multitudinem peccatorum, e di conseguenza dopo il lavoro cooperativo avessimo in premio nientemeno che il paradiso. Fu questa speranza anzi che ci sostenne fin quì ad onta delle contraddizioni e delle difficoltà patite da chi meno s'aspettava, è questa che ci consola in questo momento di staccarci momentaneamente da voi.
Ma sappiatelo, amici dilettissimi, non dico l'arrivederci solo a pochi e privilegiati, lo dico a tutti i miei bravi cooperatori, a tutti nessuno eccettuato. E' possibile tutto ciò? Possibilissimo ed eccone il come. Non dubito che voi tutti ricorderete i precetti, le norme più volte inculcatevi, sia in occasione di assemblee sociali, sia di corsi teoretici pratici per l'amministrazione e contabilità delle nostre casse e famiglie cooperative, sia di conferenze od altro, secondo le quali noi, credenti in Dio giustissimo giudice e retributore, non dovevamo solamente attendere affinché le nostre registrazioni camminassero in regola per darla ad intendere agli uomini di quaggiù, ma anzitutto affinché quello che scrivevano sui libri, fosse prima passato pel crogiuolo della nostra coscienza, e resistere al controllo che delle nostre opere avrebbe fatto, non un revisore della Federazione, ma il revisore generale (scusate la parola) delle opere umane, Iddio justus Judex! Quante volte, io diceva, che errare humanum est, e quindi che nelle molteplici operazioni delle nostre società potrà benissimo darsi il caso di qualche errore o sbaglio, facile a succedere anche agli uomini più scrupolosi, ma vi avvisava che ciò debba accadere solo per umana fragilità e non per umana malizia; anzi vi diceva che dalle nostre Direzioni, dai nostri contabili, dai nostri magazzinieri ecc. doveva star lungi in proposito perfino il solo sospetto di malizia od inganno. Fu per questo che sapendovi tutti d'una medesima fede e tutti d'una medesima religione, o come si usa dirlo oggidì, cristiani-cattolici, vi diceva che non solo i soci, ma anzitutto le Direzioni, le commissioni di sorveglianza, i contabili ed i magazzinieri fossero galantuomini a prova di bomba, non di un galantomenismo qualunque, ma di quel galantomenismo che nelle partite del dare ed avere sa, conosce, e vuole esattamente mettere alla pratica il 7° comandamento del Decalogo.
Ora io sono sicurissimo che tutti i nostri cooperatori sieno galantuomini a questa stregua; io sto fidente che nissuno avrà voluto o vorrà aggravare la propria coscienza nell'amministrare sostanze altrui, mentre invece tutti, dopo aver sacrificato in favore della società, e perciò del prossimo, ingegno, tempo e forse denari propri, avranno adempiuto fedelmente il secondo precetto della carità:  Amerai il prossimo tuo come te stesso per amore di Dio. Ebbene, è appunto per questo che mi aspetto per tutti noi un premio, non già, tenetelo a mente, in questo povero mondo, il quale non conosce di questi meriti e di questi sacrificii, ma nella vita avvenire e solamente da Domine Iddio giustissimo retributore per ogni ben fatto. Egli è per questo che ripeto arrivederci lassù, dove son sicuro si troveranno tutti i buoni cooperatori di questo tempo. Coraggio adunque e battiamo imperterriti la via giusta già segnataci, operiamo, anzi sacrifichiamoci per amore de' fratelli; si è a questa prova che verremo giudicati.
Non perdiamoci in questioni teoretiche di nomi o persone, non vogliamo vantarci di titoli o di qualifiche, che non sta a noi l'imporre o dare; ego esurivi, ci griderà Gesù Cristo, sono i fatti, sono le opere che pesano sulla divina bilancia, e si è per le nostre opere che noi speriamo colla grazia di Dio il premio eterno.
Vi potranno essere, anzi vi saranno sulla via per la quale ci siamo incamminati, triboli e spine, e magari gettatevi da chi meno si aspettavano, ma non ci scandalizziamo, né paventiamo per tutto ciò; sono miserie solite di questo basso mondo, più ancora è segno che stiamo nella giusta via, è un argomento di più di essere premiati da Dio. Non ti curar di loro ma guarda e passa troviamo scritto nella divina commedia del nostro Dante - e noi senza badare a questi botoli ringhiosi, chiunque essi sieno, passiamo oltre e cooperiamo tutti per uno ed uno per tutti al comun bene; e con ciò ho finito. Sono poche parole (e forse furono anche troppe per voi che aveste sempre buon udito) che ho voluto dirvi prima di lasciarvi. Sieno come un ultimo ricordo del povero Don Mentore il quale tanto vi amò, vi ama, e spera amarvi tutti per tutta un' eternità in seno a Dio. Così sia.

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