"La Voce Cattolica", 7 luglio 1887 (primo di una serie di articoli di don Guetti in cui descrive e visita i paesi delle Giudicarie Esteriori immaginandosi come turista che parte da Trento per curarsi al Bagno di Comano).
DAL BAGNO DI COMANO
Distrazioni.
3 Luglio 87.
Che volete, umanissimi lettori? La succede sempre così agli imprudenti!Si va, si va, e poi presto o tardo sene paga il fio. A me, p. e., che tra i chiacchieroni non sono ultimo, saltò addosso nient’altro che una forte ugolite (se il termine non è proprio galonico, lo sarà adesso) e tale da temerne una bronchite e peggio, percui dovetti lasciare le mie gravi occupazioni cittadine e ricorrere al rimedio con una bibita di queste aque cumane, assai salutari a caso mio. Già da una settimana presi stanza all’albergo “all’Opinione” condotto dal Sig. G. Alimonta e fin qui sono in tutto e da per tutto arcicontento. Le acque calde calde scendono per le gorgozzule, e l’effetto è già lusinghiero; l’organismo agisce a piacere, il bisogno di più abbondante nutrizione è sensibilissimo, e questa trovasi in abbondanza e bene condizionata presso il mio albergatore, il quale vi sa unire il sugo che dalla vite cola, bianco e nero, d’ottima qualità, che concorre a mettere il suggello dell’azione ricostruente, sì da ripromettermi in 15 giorni guarigione completa. Ma, siccome la volpe cambia il pelo, non già il vizio, così temo avvenga di me; chiacchierone prima, resterò chiacchierone anche dopo. Ora, essendo sotto cura, è imprudenza farlo e perciò mi do a scribacchiare quello che la lingua vorrebbe dire, e se tutto non è roba da cestino, fatene parte agli umanissimi lettori della “Voce”. Il tema delle mie distrazioni sarà vario anzichenò, e quale mi offriranno le escursioni di questi dintorni. Per riguardo alla lingua poi, siamo subito intesi; visto che il famoso Lotz da queste parti trovò nulla che puzzi di germanismo, non farò che mettere in ordine grammaticale il bellissimo dialetto lombardo di questa valle, facendo mie tutte le frasi prettamente italiane di questo popolo laborioso. Infine v’aggiungerò un po’ di storia balneare, necessaria per mettere tutte le cose a loro posto. Così intesi, per modo di esordio, sono tosto con voi.
Da Trento a Comano
Era il dì 27 giugno, il giorno seguente al nostro S. Vigilio. Dopo una notte insonne, cagionata dall’insuccesso della nostra festa, e per i fuochi tradizionali mancati e per la damigiana della musica al Duomo, alle ore 4 ½ m’affrettai a montare la posta verso questa direzione. Il viaggio non potea essere più felice; l’aria, rinfrescata dal temporale del giorno innanzi, entrava a grandi ondate nei polmoni mezzo atrofizzati dall’aria cittadina; il canto dell’ussignolo ci accompagnava su su fino al forte del Buco di Vela, assieme alle grate varianti del capinero ed al cicisbeo de’ fringuelli. Oh! quella era musica! Sotto l’arcata del forte vidi ancora umido del tocco de’ divoti il sasso tradizionale, sul quale il buon popolo venera le traccie del passaggio di S. Vigilio; e, senza essere superstiziosi, quella tradizione commuove però il passeggero di religiosa attenzione… Superata finalmente la sommità di Cadine, i destrieri prendono l’aire; un rapido saluto al pacifico Terlago e al mesto Vigolo, ed eccomi
presto a Vezzano. Nella rapida discesa al bel paese, dal campanile alla ghibellina, mi destò care rimembranze il nome di Stoppani, che lessi segnato sulla tavolozza ove comincia il sentiero al pozzo glaciale, battezzato dalla S. A. P. col nome appunto dell’illustre geologo. Ma ahi! Che dalla gioja al dolore è breve il tratto. Se gioja m’arrecò il nome di colui che tien alto in Italia il progresso geologico, associato al nome cattolico, dolore mi arrecarono le iscrizioni ai due alberghi del paese fatte in tedesco! Che volete? Per conto mio ritengo un peccato di antinazionalità, e che quindi va tolto ad ogni costo. Andate in paesi tedeschi e se trovate colà un’iscrizione italiana e ad alberghi tedeschi, vi do il
brevetto d’invenzione con medaglia al merito. Ma dunque, che proprio noi Trentini vogliamo essere degli anfibi? La tappa fu brevissima e non ebbi tempo di avvisare i proprietari di questo sconcio antipatriottico, ma lo farò al mio ritorno, se per allora non sarà fatta pulizia. La discesa da Vezzano alle Sarche è delle più incantevoli, ed io crederei ritenerla per la plaga più vaga e sorridente del Trentino. Dalle brulle vette del Gazza alle blande pendici del Bondone per vero non si estende tanto
l’orizzonte, ma per quello che l’occhio non gode in alto, ne viene compensato a josa in basso. Qui i mirteti sempre verdi che attorniano gli ameni laghetti di Toblino e S. Massenza; lì gli olivi che a piccole macchie t’annunziano le aure dolci del mezzodì. Qua e là le romantiche insenature de’ laghi percorse dallo stradale; in mezzo poi il turrito castello, illustre per antichità e per la storia, che specchia le sue abbronzite mura nel cristallino dell’acque; numerosi pesciolini che ti guizzano fino all’orlo della strada, dandoti il benvenuto; l’aria infine balsamica, i vigneti del Vino santo, tutto in una parola ti imparadisa e ti invita a far qui tua dimora. Ma l’esigenza dell’orario non lo permette, ed il cocchiere fa studiare il passo ai cavalli che in pochi minuti, passato il ponte di legno sopra la Sarca, ti depongono all’ufficio postale delle Sarche. Qui l’albergo è in regola pro patria, peccato non lo sia anche pro mensa, per la quale sono tradizionali le lamentazioni. Eh! si che la quotidiana e numerosa occorrenza di passeggeri dovrebbe compensare il proprietario di un servizio più conveniente. Possibile che il gran movente del secolo, l’interesse proprio, siasi andato ad annegarsi nel Sarca vicino? Speriamo di no, e questa sia l’ultima lamentazione. – Ma proseguiamo il nostro viaggio. Qual contrasto di scena! Prima tutto paradiso, ora eccoci ai gironi dell’inferno! Su, su per le volte delle Sarche, siamo finalmente, sopra il livello del fiume all’altezza di 200 m. Uno sguardo ancora al piano, un saluto a quelle amene sponde, un augurio al ponte, dal quale stieno lungi la pece ed il fuoco del 1866 ed il brusco bacio del 1882, ed eccoci serrati in mezzo a muraglie altissime di viva roccia. Certamente fu ardimento titanico quello de’ Comuni Giudicariesi dovendosi aprire per queste rupi una strada di comunicazione con Trento, e dovrebbe ormai meritarne un compenso coll’essere dichiarata strada governiale; ma ahi! che fin qui furono desiderj e solo desiderj. Sotto il paterno regime de’ Principi Vescovi si ebbe a spese dell’erario l’apertura della strada pel Casale, sufficiente per l’esigenze di que’ tempi andati; e la gratitudine de’ Giudicariesi fu sempre costante verso il Principe; ora pare si voglia esaurirne la nota fedeltà con temporeggiare sì lungo, che sembra degenerare in un amaro rifiuto. No, con questi nodi amorosi non si avvinghia un popolo disgraziato al carro costituzionale… Queste ed altre idee, similmente tetre e dolorose, mi passarono per la mente nel percorso della strada del Limarò, bella in tutto il suo orrido. Finalmente una rapida svolta improvvisamente ti apre l’orizzonte giudicariese; la punta della Tosa, a sinistra della Sarca e a destra del viaggiatore, solleva la mente a pensieri più gaj e sereni. Il giovine alpinista si sente una scossa elettrizzante, il sangue scorre più rapido nelle ingranchite membra, l’aria montanina accelera i movimenti del cuore... Excelsior!... questa nobile espressione ti prorompe dal labbro enfatica… ancora pochi minuti… ed ecco in umile postura la Fonte cumana. Salve, aqua salutare! La tua efficacia per l’egro corpo umano, nota già ai vetusti Romani, è ben più ora manifesta ai non degeneri figli. La mia gola aspetta da te desiato rimedio; salve, dunque, ninfa salutare! Il viaggio è finito; corro alla stanza assegnatami; depongo con la polvere le vesti da viaggio; metto all’ordine, col cibo e col riposo, lo stomaco sconquassato e do principio alla cura...(continua)
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