sabato 10 marzo 2012

Il testamento di don Mentore

Ai lettori
Non v'ha dubbio, il benigno lettore si sarà aspettato anche questa volta il solito augurio della penna di Don Mentore, nostra vecchia conoscenza, ed il relativo articolo di prima fila scritto alla buona e col cuore in mano come sapeva far lui. Ma quest'anno restiamo delusi! Don Mentore non è più; è un suo erede che ce ne dà la non grata notizia, ed in pari tempo ci manda alcune carte sparse dove saltuariamente sono segnati alcuni capitoli che di certo erano preparati per l'Almanacco. Noi, in mancanza di altro, ed ancora in memoria del vecchio amico, metteremo al primo posto queste ultime memorie che intitoleremo il Testamento di Don Mentore, e mentre preghiamo pace a Lui, auguriamo a tutti i 5000 lettori ed alle poche lettrici l'anno di grazia 1898 prospero e felice ed una vita  ben più lunga e fortunata di quella del povero Don Mentore.
LA REDAZIONE

Testamento di Don Mentore
Capitolo I
Non v'è peggior sordo di chi non vuol intendere
Copertina dell'Almanacco Agrario 1887
Sta bene; anzi è necessario ripetere certe cose ad ogni piè sospinto, perché vi sono al mondo certi sordi artificiali, che non vogliono udire dalla nostra bocca certe verità, delle quali essi soli pretendono il monopolio. Voi, o lettori umanissimi, aveste la bontà di leggere e rileggere per anni parecchi le povere mie parole ed ammonimenti che veniva presentandovi sull'Almanacco, e come ero persuaso io, lo eravate voi tutti, erano desse inspirate a' quei sani principii che abbiamo succhiato col latte materno attorno ai nostri domestici focolari, e nelle nostre scuole, in una parola era il nostro bel catechismo messo alla pratica in tutte le moderne istituzioni che per il progresso del tempo venivamo piantando a tutto e solo vantaggio del nostro popolo. Voi siete buoni testimoni che il perno su cui tutto si basava era il timore di Dio, principio di sapienza e di ogni buona opera. In tutto il nostro scrivere ed operare era chiaro che volevamo mettere in pratica, ossia manifestare quelle opere colla fede, che tutti fino dalle fasce ereditammo dai padri nostri e nella quale fummo educati. Noi, non essendo necessario di più, ci limitammo a questo punto essenziale di nostra religione e su questo fino alla nausea abbiamo insistito. Su questa base abbiamo cominciato a scrivere, a lavorare, e coll'aiuto di Dio le nostre parole non restarono una predica al deserto, ma furono seguite da tali opere, così opportune, così proficue, così generalizzate nel nostro popolo trentino, da parere un miracolo. Solamente sei anni fa, non c'era nulla del movimento cooperativo rurale, ora la nostra amata terra è tempestata di tali istituzioni come il cielo sereno di tante fulgide stelle. Quale fu la causa felice di tanti begli effetti? Non v'ha dubbio, la base posta da noi a tali edifici, il timor di Dio. Eppure, vi sono ora uomini nel mondo che si ostinano a negare questa verità, e lo fanno, non già perché sieno nemici di Dio o della religione, dioninguardi, ma non si sa il perché, o meglio si sa anche troppo, cioè per pura gelosia. Vedendo tutta questa roba che allaga ora il Trentino sotto forma di Casse rurali, Famiglie cooperative, Federazione, Banco di S. Vigilio e non essendo in loro mani per cristallizzarla a modo proprio, se ne accuorano, e volendo giustificare il loro mal procedere, vi accennano a basi false, a neutralità, a cose senza nome, promovendo poi essi altri modi che chiamano il non plus ultra della perfezione, tanto sono umili nei loro propositi. Che cosa possiamo noi dire di tutto ciò? Niente altro che ripetere ai nostri amici quello che loro abbiamo inculcato sempre. Non badate a costoro, che sotto l'idea della perfezione, vi nascondono fini egoisti ed esclusivi; noi ci siamo uniti nel cemento della carità, sulla base della fede nostra avita e che non rinnegheremo mai, e come su questa via abbiamo incominciato, così siamo perseveranti usque in finem. Come vedete io sono vecchio, e presto dovrò presentarmi al tribunale di Dio per rendere ragione del mio operare. Non sento in questi momenti rimprovero di coscienza di avere operato per voi, miei cari, in quel modo che ho fatto fin quì. Fu un agire per puro vostro amore, senza fini secondari, anzi senza aspirare neppure a ricevere guiderdoni su questa terra, perché sapeva che il nostro buon Dio me li avrebbe dati oltre tomba. Anche l'amarezza che vogliono arrecarmi questi nostri fratelli della perfezione formerà un gradino di più bel paradiso; perdoniamo loro e tutti saldi nella via sì bellamente cominciata. Se i sordi non vogliono intendere, non sappiamo che farci; voi c'intendete, ci avete intesi, e basta a nostra consolazione.

Nessun commento:

Posta un commento