IX.
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Non vi spaventate dal titolo, pazienti assidui; non crediate che ora stia
per farmi perfetto alpinista e mi dia ad
ascendere le altezze montanine di questa bella tra le belle plaghe del Trentino.
Non mi sento da tanto; primo perché
non vorrei farvi rabbrividire colle vive
descrizioni di ascensioni pericolose, di
traversate da camosci, di nevi, di bôra
turbinosa, di tormenta che acceca, di
morene a sbalzi, di ghiacciaj lisci, lisci
e vedermi colla facile vostra fantasia arrampicare di balza in balza, di scheggia
in scheggia, o cinto i lombi della corda salvatrice, preceduto e seguito dalle
guide esperte con la destra armata del
baston d’alpe, arrivare vittorioso alla
cima desiata al grido enfatico Excelsior!
oppure perduto nella immensità degli
spazii glaciali senza orma di sentiero, o
come festuca in vetro caduto nei numerosi crepacci, e magari precipitato da
enorme altezza povera vittima del coraggio, come avvenne poco fa ad altri
soci della Iungfrau! Dunque niente di
tutto questo e per secondo, pensate che
sono sotto cura per ugolite ed ammessa
anche la guarigione la più perfetta, la
mi parrebbe una imprudenza imperdonabile il mettersi in tali pericolosi
cimenti. Ma e perché adunque il titolo
sopraposto? Non è dessa una profanazione? Signori no, protesto subito; e
per mia giustificazione vi dichiaro, che
qui si tratta proprio di una ascensione
alpina, ma di terzo ordine fatta tutta
sulla toppa, direbbe questo popolo cioè
su zolla erbosa e fiorita su su fino alla
cima, e tale da essere falciata ogni anno
dall’uomo, senza aiuto di carpelle ed
ove peri no usano pascolare tranquilli
il bue e la vacca! Ciò non profana la
sublime parola, niente affatto, perché
è un excelsior reale, realissimo per noi
bevitori di acque cumane, ai quali il
moto gambettiano non è ancora in tutta regola.
E per dove ci condurrete colle vostre strambe distrazioni? Sul Monte Casale. Per dir vero altre ascensioni comodissime o bellissime si danno in questa valle, come quella di Misone a mezzogiorno, di Serra a sera, e di Pisso a settentrione, ma noi preferiamo il Casale onde godere de visu le bellezze descritteci dal Caccianiga, e che si trovano riportate nel libro di III Classe delle nostre scuole popolari, e al caso correggere qualche espressione o troppo enfatica od erronea. Anzi, con licenza presunta dell’esimio scrittore, riporterò senz’altro le stesse sue parole con qualche parentesi, che mi sfuggirà tra via. Se giungerò a stancare il lettore, pazienza; pensate che andiamo su per l’erta montana…
“Terminate le gite nei d’intorni di
Comano (cioè Bagno di Comano),
così Antonio Caccianiga, mi restava
un desiderio; vedere dalla cima d’un
monte questo vasto anfiteatro di colline, le valli, i laghi ed i torrenti che circondano le Giudicarie. Un buon amico, udito il mio desiderio, mi consigliò
di andare sul monte Casale, alto 2900
metri (circa 2000 soltanto) e collocato
in posizione opportuna per dominare un vasto orizzonte. Ho seguito questo
consiglio, e ne rimasi pienamente soddisfatto".
“Fatte le debite provvigioni di vittuaria, siamo partiti da Comano (bagno) alle 5 del pom. per giungere sulla cima del monte prima del levare del sole, (si vede che il Caccianiga e compagnia erano pure amanti delle tappe, perché come si vedrà, impiegarono più di 10 ore ad ascendere la cima del Casale, mentre in quattro ore comodamente vi si arriva. La strada più breve sarebbe per Poia-Godenzo-Malga delle Mosche, mentre quella Vigo-Lundo viene ad allungarsi d’un ora.) Eravamo sette persone, e a Vigo si raddoppiava la brigata" (ed ivi si fece una fermatina piuttosto morosa come si vede da quello che segue).
“Giunti al paesello di Cajano (un semplice casolare con tre famiglie) sopra un’eminenza, che domina la valle ci si presentò la chiesa del villaggio, (cioè l’antichissima e classica chiesa decanale del Lomaso.) La povera popolazione erasi raccolta nel tempio, e intuonava un’armonioso inno alla Madonna (essendo festa si recitava il Rosario col canto delle Litanie). Dalle invetriate della chiesa usciva una luce rossastra che illuminava i contorni della fabbrica e degli alberi più vicini; tutto il resto era immerso nelle tenebre e solo si vedevano nel profondo della valle i lumicini delle case, che parevano un riflesso delle stelle. Ci siamo arrestati a contemplare quella scena stupenda ed ascoltare que’ canti. Nessuna musica solenne di cattedrale mi lasciò nell’anima una rimembranza più serena di quel semplice canto di poveri pastori, nel mezzo della notte". (Pure tali funzioni religiose così dolci ed edificanti non si praticano facilmente da cristiani in gabbana lustra, hanno altri divertimenti a quell’ora!)
“Seguitando sempre la via attraverso il colle che forma la base della montagna, si procedeva in silenzio, ciascuno coi proprî pensieri, e coll’animo concentrato in solitarie meditazioni. Il firmamento brillava di stelle, e le creste de’ monti più lontani si disegnavano nel fondo azzurro con linee nette e precise". (Essendo notte non vide lo scrittore il Castello Spina, importante nella storia di queste valli, posseduto dai Conti d’Arco ed ora da privati, il quale siede a mezzo il colle percorso.)
“Erano vicine le 10, quando arrivammo a Lundo. La popolazione di questo villaggio era immersa in sonno profondo, e l’osteria era chiusa. Noi battemmo alla porta, che finalmente si aperse, e potemmo entrare al coperto. Prima di tutto si fece un buon fuoco, una bella fiamma che crepitava innondando di denso fumo l’angusto locale, ma era una consolazione trovarsi davanti un focolare, e vedere la brava ostessa che dava l’ultima pulitura alla caldaja (un pajuolo probabilmente) per fare la polenta. Quando tutto fu all’ordine, sedemmo intorno alla improvvisata imbandigione, resa squisita dall’aria della montagna, e dalle fatiche del lungo pellegrinaggio. (Certamente fu lungo se dal Bagno di Comano a Lundo vi arrivarono dopo 5 ore! Ma noi in modesta compagnia di tre compagnoni, appena appena impiegammo due sole ore a giungervi, e fummo contentissimi di ciò, perché ebbimo tempo di scorazzare pel paese a salutarvi vecchi amici ed ammirare i grandi progressi pastorecchi di quel laborioso ed industrioso paese prima che la notte stendesse il nero suo manto. Rinfrescata l’ugola appena arrivati, visitammo il casello sociale, che fin quì è il primo di tutto il distretto e ridotto in tutto progresso. I suoi prodotti sono buoni, anzi il burro ne è ricercatissimo, ma è riservato quasi esclusivamente per Arco. Ben a ragione quindi quella direzione sociale vi mostra con compiacenza le onorificenze e le medaglie avute in varie esposizioni. I vantaggi indiretti poi di questa istituzione sono molti e tra questi l’aumento de’ bovini accresciuto del doppio. Bravi Lundesi! E’ così che si vincono le vecchie insulse tradizioni, e si dà esempio di vero progresso, il quale da altri si vorrebbe far consistere, invece nel saper divertirsi ammodo con teatri e danze. Poveri illusi!.. Noi pratici un po’ del paese ci affrettammo a correre sul colle alle Colombine per ammirare uno di que’ tramonti del sole che imparadisano, e per rinnovare l’incanto della nuova prospettiva di questa indimenticabile vallata.
Restammo estatici alle varie scene incantevoli; e colle braccia al sen conserte ci assalse il sovvenir di altri tempi, che finì nell’enfatico canto:
“Ad un’ora dopo mezzanotte una esperta guida di Lundo, che ci avevano assicurata per la salita, venne ad avvertirci che bisogna partire. Le salite notturne sono monotone e tristi; da lontano un oceano profondo di tenebre, da vicino vaghe ombre confuse. Pochi rumori rompono il silenzio della notte; uno stormire di frondi, un sasso che rotola dalle cime, un ruscello che mormora tra le frane, il fischio di qualche uccello spaventato che fugge all’avvicinarsi dell’uomo".
“Verso il crepuscolo l’aria si andava
raffreddando, e spirava un venticello
alpino piuttosto piccante. Allora si
fece una sosta; la guida andò in traccia di rami secchi e resinosi ed accese
un fuoco che ci riscaldò le membra irrigidite dalle brezze dell’aurora. Poco
dopo ripresa la via, salimmo sopra
ampie ondulazioni di terreno prativo,
ove cessano gli alberi e gli arbusti, e
la montagna si copre di estesi verdeggianti pascoli, coperti di fiori alpini e
di erbe odorose. È questo il sommo del
monte e dicesi le Quadre, dalle quali si
ascende facilmente fino all’ultima vetta del Casale, che è una roccia saliente
dalla prateria e che si denomina il Cornasel".
“Siamo giunti in cima al Cornasel pochi minuti prima del levare del sole e salutammo con unanimi applausi il primo raggio che comparve sull’orizzonte a rischiarare il sublime panorama delle Alpi tirolesi!" (ed io dico trentine.)
“Ogni disagio della via è dimenticato davanti a tale spettacolo! Girando gli sguardi intorno si domina uno stupendo anfiteatro che incomincia alle nevi della Tosa e discendendo fra gli scaglioni dei monti sottoposti e dai colli, termina giù nelle valli".
“Da questa sommità si contemplano i numerosi laghi, in cui specchiansi le circostanti montagne. A mezzodì il Garda bagna le falde del Montebaldo e l’occhio, girando verso settentrione, passa per la Val d’Arco per le Marocche ed il lago di Cavedine. Poi si vede il lago di Toblino, indi i tre laghi (quondam) di Terlago, e più in alto le acque del lago di Pinè, brillanti al sole, e da un lato il monte Gazza e il lago di Molveno".
"Contemplato lungamente l’insieme dell’imponente prospettiva, passammo in rassegna col cannocchiale i vari punti distinti, e i paeselli che sorgono sui fianchi delle montagne.
Ai nostri piedi le nude scogliere scendevano al basso fra spaventosi precipizi, e la maestosa grandezza di quelle alpi impiccioliva ai nostri sguardi gli oggetti lontani talmente, che i fiumi ci parevano nastri azzurri, i torrenti somigliavano a esili fili d’argento, i paesi a piccoli gruppi di casipole fatte per trastullo dei fanciulli; e l’uomo, questo essere orgoglioso, ci compariva come un punto nero insignificante e perduto nello spazio".
"Prima di scendere, volli raccogliere un mazzo di fiori alpini, che formavano un variopinto tappeto sul verde fondo del prato; e ne trovai di stupendi. Non potea distaccarmi da quel giocondo giardino, da quelle sublimi e solitarie cime che innalzano il pensiero dell’uomo, e lasciano nell’anima una rimembranza perenne. Ma la nostra guida mi annunziò la partenza della carovana, e m’invitava a seguirla. La discesa fu faticosa assai più della salita (non capisco ciò, perché a noi fu deliziosa invece) e giungemmo allo stabilimento dei bagni all’ora del pranzo, in uno stato tale da somigliare ad un drappello di fuggiaschi dopo una battaglia campale. Ma con un po’ di riposo si ripigliano le forze, si dimentica la fatica, e resta nell’animo la memoria del sublime spettacolo della natura, contemplato dalla cima delle Alpi. (Noi invece, partiti dalle ore 8 dalla cima del monte, scendemmo placidamente per altra strada e dopo la malga delle Mosche discesi fino al paesello di Comano gustammo un’allegro scampanio di buonissimo concerto di campane; indi passammo a Godenzo nella cui Chiesa si vedono dei buoni dipinti ed una lapide romana, alla dea Fortuna, capovolta e che serve di ceppo al vaso dell’acquasanta. Altre memorie antiche trovansi nella Chiesetta di S. Giorgio a Poja.
Sotto il Vescovo trentino Giorgio II (1446-1465) ottennero, in segno di gratificazione per servigi segnalati prestati, il titolo di nobiltà le famiglie Burati di Comano, Berti, Pasi e Formaini di Poja, assieme ad altre famiglie di questa valle; Pellegrini, Butalossi, Parisi, Giordani ebbero per giunta il diritto di decima. Di Poja insigni sono la famiglia Alberti (passata a Trento nel 1550, da cui poscia il Vescovo Francesco, 1677-1689) e Lutti, di cui Orlando, Giann’Antonio ed Andrea nel 1614 ottennero diploma di nobiltà. Esistono ancora ben distinte dalle altre le abitazioni di queste famiglie. Nel 1274 sotto il Vescovo Enrico II ebbe buon nome un Brunomonte di Poja. Ma l’orologio battendo le 11 ore ci fa sollecitare la discesa al nostro albergo per l’ora del pranzo; nel quale ad onta della stanchezza abbiamo fatto la nostra parte con discreta infamia.
E per dove ci condurrete colle vostre strambe distrazioni? Sul Monte Casale. Per dir vero altre ascensioni comodissime o bellissime si danno in questa valle, come quella di Misone a mezzogiorno, di Serra a sera, e di Pisso a settentrione, ma noi preferiamo il Casale onde godere de visu le bellezze descritteci dal Caccianiga, e che si trovano riportate nel libro di III Classe delle nostre scuole popolari, e al caso correggere qualche espressione o troppo enfatica od erronea. Anzi, con licenza presunta dell’esimio scrittore, riporterò senz’altro le stesse sue parole con qualche parentesi, che mi sfuggirà tra via. Se giungerò a stancare il lettore, pazienza; pensate che andiamo su per l’erta montana…
Veduta del bagno di Comano in una cartolina d'epoca |
“Fatte le debite provvigioni di vittuaria, siamo partiti da Comano (bagno) alle 5 del pom. per giungere sulla cima del monte prima del levare del sole, (si vede che il Caccianiga e compagnia erano pure amanti delle tappe, perché come si vedrà, impiegarono più di 10 ore ad ascendere la cima del Casale, mentre in quattro ore comodamente vi si arriva. La strada più breve sarebbe per Poia-Godenzo-Malga delle Mosche, mentre quella Vigo-Lundo viene ad allungarsi d’un ora.) Eravamo sette persone, e a Vigo si raddoppiava la brigata" (ed ivi si fece una fermatina piuttosto morosa come si vede da quello che segue).
“Giunti al paesello di Cajano (un semplice casolare con tre famiglie) sopra un’eminenza, che domina la valle ci si presentò la chiesa del villaggio, (cioè l’antichissima e classica chiesa decanale del Lomaso.) La povera popolazione erasi raccolta nel tempio, e intuonava un’armonioso inno alla Madonna (essendo festa si recitava il Rosario col canto delle Litanie). Dalle invetriate della chiesa usciva una luce rossastra che illuminava i contorni della fabbrica e degli alberi più vicini; tutto il resto era immerso nelle tenebre e solo si vedevano nel profondo della valle i lumicini delle case, che parevano un riflesso delle stelle. Ci siamo arrestati a contemplare quella scena stupenda ed ascoltare que’ canti. Nessuna musica solenne di cattedrale mi lasciò nell’anima una rimembranza più serena di quel semplice canto di poveri pastori, nel mezzo della notte". (Pure tali funzioni religiose così dolci ed edificanti non si praticano facilmente da cristiani in gabbana lustra, hanno altri divertimenti a quell’ora!)
“Seguitando sempre la via attraverso il colle che forma la base della montagna, si procedeva in silenzio, ciascuno coi proprî pensieri, e coll’animo concentrato in solitarie meditazioni. Il firmamento brillava di stelle, e le creste de’ monti più lontani si disegnavano nel fondo azzurro con linee nette e precise". (Essendo notte non vide lo scrittore il Castello Spina, importante nella storia di queste valli, posseduto dai Conti d’Arco ed ora da privati, il quale siede a mezzo il colle percorso.)
“Erano vicine le 10, quando arrivammo a Lundo. La popolazione di questo villaggio era immersa in sonno profondo, e l’osteria era chiusa. Noi battemmo alla porta, che finalmente si aperse, e potemmo entrare al coperto. Prima di tutto si fece un buon fuoco, una bella fiamma che crepitava innondando di denso fumo l’angusto locale, ma era una consolazione trovarsi davanti un focolare, e vedere la brava ostessa che dava l’ultima pulitura alla caldaja (un pajuolo probabilmente) per fare la polenta. Quando tutto fu all’ordine, sedemmo intorno alla improvvisata imbandigione, resa squisita dall’aria della montagna, e dalle fatiche del lungo pellegrinaggio. (Certamente fu lungo se dal Bagno di Comano a Lundo vi arrivarono dopo 5 ore! Ma noi in modesta compagnia di tre compagnoni, appena appena impiegammo due sole ore a giungervi, e fummo contentissimi di ciò, perché ebbimo tempo di scorazzare pel paese a salutarvi vecchi amici ed ammirare i grandi progressi pastorecchi di quel laborioso ed industrioso paese prima che la notte stendesse il nero suo manto. Rinfrescata l’ugola appena arrivati, visitammo il casello sociale, che fin quì è il primo di tutto il distretto e ridotto in tutto progresso. I suoi prodotti sono buoni, anzi il burro ne è ricercatissimo, ma è riservato quasi esclusivamente per Arco. Ben a ragione quindi quella direzione sociale vi mostra con compiacenza le onorificenze e le medaglie avute in varie esposizioni. I vantaggi indiretti poi di questa istituzione sono molti e tra questi l’aumento de’ bovini accresciuto del doppio. Bravi Lundesi! E’ così che si vincono le vecchie insulse tradizioni, e si dà esempio di vero progresso, il quale da altri si vorrebbe far consistere, invece nel saper divertirsi ammodo con teatri e danze. Poveri illusi!.. Noi pratici un po’ del paese ci affrettammo a correre sul colle alle Colombine per ammirare uno di que’ tramonti del sole che imparadisano, e per rinnovare l’incanto della nuova prospettiva di questa indimenticabile vallata.
Restammo estatici alle varie scene incantevoli; e colle braccia al sen conserte ci assalse il sovvenir di altri tempi, che finì nell’enfatico canto:
Vi ravviso luoghi ameni ecc…
Cercammo poscia di precisare la
casa ove nacque il Sacerdote Giovanni
Bottesi, per segnarvi una memoria ai
posteri con un distico latino favoritoci
da un Reverendo di Lomaso versato in
latinità e giusto apprezzatore del merito morale sopra il letterario, con cui
dedicava alla immortalità le due grandiose apparizioni spuntate sulle spiagge
di Lomaso, le quali onorando il secolo
passato e presente, potrebbero ingenerare un fremito irresistibile a seguire le
orme generose e di tanta rinomanza;
ma la breve sosta non ci permise di
compiere le ricerche. A più pratici del
luogo il farlo, mentre con pace del proto mi permetto trascrivere i due versi
ad edificazione de’ lettori. Eccoli colla
loro traduzione in lingua vernacola.
Iactet Dasindum, Materque micantia Vatis;
Splendidius Lundum Bottesi Ianne
suo.
“Vanti pure Dasindo colla Madre
patria la gemma splendida del suo Poeta;
Lundo va ben più glorioso pel suo
eroe Don Giovanni Bottesi.”
Ma veniamo finalmente al Caccianiga, che continua:“Ad un’ora dopo mezzanotte una esperta guida di Lundo, che ci avevano assicurata per la salita, venne ad avvertirci che bisogna partire. Le salite notturne sono monotone e tristi; da lontano un oceano profondo di tenebre, da vicino vaghe ombre confuse. Pochi rumori rompono il silenzio della notte; uno stormire di frondi, un sasso che rotola dalle cime, un ruscello che mormora tra le frane, il fischio di qualche uccello spaventato che fugge all’avvicinarsi dell’uomo".
Veduta dal monte Casale |
“Siamo giunti in cima al Cornasel pochi minuti prima del levare del sole e salutammo con unanimi applausi il primo raggio che comparve sull’orizzonte a rischiarare il sublime panorama delle Alpi tirolesi!" (ed io dico trentine.)
“Ogni disagio della via è dimenticato davanti a tale spettacolo! Girando gli sguardi intorno si domina uno stupendo anfiteatro che incomincia alle nevi della Tosa e discendendo fra gli scaglioni dei monti sottoposti e dai colli, termina giù nelle valli".
“Da questa sommità si contemplano i numerosi laghi, in cui specchiansi le circostanti montagne. A mezzodì il Garda bagna le falde del Montebaldo e l’occhio, girando verso settentrione, passa per la Val d’Arco per le Marocche ed il lago di Cavedine. Poi si vede il lago di Toblino, indi i tre laghi (quondam) di Terlago, e più in alto le acque del lago di Pinè, brillanti al sole, e da un lato il monte Gazza e il lago di Molveno".
"Contemplato lungamente l’insieme dell’imponente prospettiva, passammo in rassegna col cannocchiale i vari punti distinti, e i paeselli che sorgono sui fianchi delle montagne.
Ai nostri piedi le nude scogliere scendevano al basso fra spaventosi precipizi, e la maestosa grandezza di quelle alpi impiccioliva ai nostri sguardi gli oggetti lontani talmente, che i fiumi ci parevano nastri azzurri, i torrenti somigliavano a esili fili d’argento, i paesi a piccoli gruppi di casipole fatte per trastullo dei fanciulli; e l’uomo, questo essere orgoglioso, ci compariva come un punto nero insignificante e perduto nello spazio".
"Prima di scendere, volli raccogliere un mazzo di fiori alpini, che formavano un variopinto tappeto sul verde fondo del prato; e ne trovai di stupendi. Non potea distaccarmi da quel giocondo giardino, da quelle sublimi e solitarie cime che innalzano il pensiero dell’uomo, e lasciano nell’anima una rimembranza perenne. Ma la nostra guida mi annunziò la partenza della carovana, e m’invitava a seguirla. La discesa fu faticosa assai più della salita (non capisco ciò, perché a noi fu deliziosa invece) e giungemmo allo stabilimento dei bagni all’ora del pranzo, in uno stato tale da somigliare ad un drappello di fuggiaschi dopo una battaglia campale. Ma con un po’ di riposo si ripigliano le forze, si dimentica la fatica, e resta nell’animo la memoria del sublime spettacolo della natura, contemplato dalla cima delle Alpi. (Noi invece, partiti dalle ore 8 dalla cima del monte, scendemmo placidamente per altra strada e dopo la malga delle Mosche discesi fino al paesello di Comano gustammo un’allegro scampanio di buonissimo concerto di campane; indi passammo a Godenzo nella cui Chiesa si vedono dei buoni dipinti ed una lapide romana, alla dea Fortuna, capovolta e che serve di ceppo al vaso dell’acquasanta. Altre memorie antiche trovansi nella Chiesetta di S. Giorgio a Poja.
Sotto il Vescovo trentino Giorgio II (1446-1465) ottennero, in segno di gratificazione per servigi segnalati prestati, il titolo di nobiltà le famiglie Burati di Comano, Berti, Pasi e Formaini di Poja, assieme ad altre famiglie di questa valle; Pellegrini, Butalossi, Parisi, Giordani ebbero per giunta il diritto di decima. Di Poja insigni sono la famiglia Alberti (passata a Trento nel 1550, da cui poscia il Vescovo Francesco, 1677-1689) e Lutti, di cui Orlando, Giann’Antonio ed Andrea nel 1614 ottennero diploma di nobiltà. Esistono ancora ben distinte dalle altre le abitazioni di queste famiglie. Nel 1274 sotto il Vescovo Enrico II ebbe buon nome un Brunomonte di Poja. Ma l’orologio battendo le 11 ore ci fa sollecitare la discesa al nostro albergo per l’ora del pranzo; nel quale ad onta della stanchezza abbiamo fatto la nostra parte con discreta infamia.
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