VII.
Dopo cena. Torna all'indice
Ohe! Signor distratto? Abbiamo un
po’ di conti da fare con lui questa sera.
– E che cosa volete dire?
– Oggidì, andando e ritornando
dalla Fonte, abbiamo sentito a carico
vostro qualche lagnanza un po’ viva, e
non vorressimo, noi, vostri compagni
di mensa, essere partecipi della colpa
eventuale.
– S’intende, avete mille e una ragioni. Ma, di grazia, si potrebbe sapere
almeno qualcuna di queste lagnanze,
onde al caso rimediarvi?
– Prima quella del sig. Trattore delle
Sarche, il quale si sentì bollato dalle vostre critiche. Anzi fu qui in persona per
sapere chi fosse l’ardimentoso chiacchierone.
– Mi rincresce non averlo saputo, chè
in persona avrei ripetuto quello che ho
già scritto. Sono contento però di aver
scritto quello che fu stampato, perché
vedo che portò già i suoi frutti, e siccome il nostro albergatore delle Sarche è
persona ammodo, vedrete che da qui innanzi non si farà dare più degli appunti
in proposito; anzi sarà grato a quella mia
distrazione, perché in avvenire avrà più
concorrenti e questi, restando contenti
della tavola, facilmente faranno onore
anche al suo Vino Santo di fama europea. E del resto c’è altro?
– Qualcuno si lagnò perché avete
messa la Fonte Cumana al livello della
Sarca, mentre è oltre 10 m più alta.
– Capisco, costui teme forse che con
ciò scapiti la purezza dell’acqua, non è
vero? Ebbene, osservo a costui, che io
ho scritto: quasi al livello della Sarca;
e questo quasi mi par bene che valga i
10 m e più, se lo mettiamo al confronto collo spazio dalla cima del Casale
alle onde del fiume. Che ve ne pare? È
troppo scrupoloso costui.
– Un’altra; siamo stati jeridì a Dasindo, ed oltre a quello che avete veduto e
notato voi, vi abbiamo ammirato un
dente colossale di elefante pietrificato;
e questa mattina avendo fatto una passeggiata fino a Cares abbiamo osservato dei frammenti di lapidi romane nel
muro del cimitero e ai lati della Chiesa,
mentre nella facciata c’è poco o nulla.
– Benedetti voi, ma non ve l’ho
detto prima che le mie sono distrazioni e non attenzioni? E poi i gusti son
gusti, e quello che avete ammirato voi,
forse per me non era degno di ammirazione. Sentite a proposito un casetto
che ho udito io stesso dall’autore con
queste due orecchie. Un mio compare, contadino s’intende, ma del resto
che credeva saperla lunga, fu pei suoi
affari a Milano. Milano! È certo una
bellissima città, e vi conta delle meraviglie spettacolose, sì che ognuno, che
vi capita la prima volta, resta stupito
p. e. ammirando quel colosso che è il
Duomo colla selva delle sue guglie, e la
magnificenza della galleria V. E. e tante altre mille cose degnissime e belle.
Ebbene mi sapreste dire qual fu la cosa
che maggiormente colpì d’ammirazione il mio compare? Non lo indovinate
neppure se foste ipnotizzati alla Donato. Fu nientemeno, un enorme ceppo
da macellaio (se ridete avete ragione),
sul quale quattro garzoni tagliavano allegramente e comodamente un manzo
intiero! Egli si sforzava ad assicurarmi
con tutta serietà che una meraviglia
tale non l’ebbe mai più veduta e che
non si potea vedere al mondo! Vedete
che razza di gusti, che genere di impressioni! Non fate dunque le meraviglie se
anche un distratto, come son io, ha le
sue impressioni e non ha tutte quelle
possibili. Vedete; faccio le mie gite così
alla sfuggita, per solazzo e non già per
studio; questo potrebbe impedire l’effetto prodigioso delle acque, ed allora
addio, povera mia gola, mi dovrei dare
a studiare mutologia, alla quale per
nulla mi sento inclinato.
– Ma il dente di Dasindo è una rarità!
– Chi lo nega? Anzi se fosse dente
di Balena, come lo chiamarono certi
messeri, sarebbe più che raro, sarebbe
unico nel suo genere. Di questo dente
già parlò un mio amico nella fu Riva
Fedele e a tutte sue spese lo illustrò e
ne fece fare copie in gesso che regalò ai
nostri musei e senza averne un grazie;
tutt’altro! Sapete che? A Dasindo, se
avessi avuto tempo, sarei andato a vedere invece il famoso Noce degli Aloisi
che diede il nome alla guerra delle noci
del 1579; ma penso che ormai ne avran
fatto tanti fucili in questo tempo di militarismo contagioso.
– Ma come, ci fu una guerra delle
noci a Dasindo? Bella quella guerra per
certo, perché ne avrà ammazzato molto pochi!
– Se mi permettete, giusto così per finire il chilo, andiamo qui al fresco del
glorietto e ve ne dirò quel che so!”
– Assai volentieri, andiamo.
– Conticuere omnes, intentique ora
tenebant!
Bisogna che premetta ad onor di
questo popolo giudicariese, che benevolo ci ospita, che per natura sua gli
abitanti delle sette Pievi sono dei più
fedeli alle costituite autorità, e che nella lunga storia di queste valli due sole
volte si nota esservi stato della ribellione al governo civile, e ciò se da una
parte conferma la regola di fedeltà,
d’altra parte lascia arguire che vi furono proprio tirati pei capelli da aperta
ingiustizia. Ecco dunque il primo fatto, riservandomi a tempo opportuno
accennarvi il secondo.
A Cristoforo Madruzzo, Cardinale
rassegnante addì 14 Nov. 1567, successe
nella Sede Vescovile di Trento il nipote
Lodovico Madruzzo. Questi per ben 10
anni stette a Roma prima di sedere nella
sua cattedra vescovile trentina, perché
non voleva giurare le Compattate (convenzioni) che si voleano imporgli dalla
potestà civile, in mano allora di Ferdinando Arciduca d’Austria. Finalmente
colla mediazione del S. P. Pio V il Vescovo nostro cedette pro bono meliori, firmò queste compattate e venne finalmente nella sua Sede. In conseguenza
di ciò l’Arciduca Ferdinando si affrettò
con lettera pubblica da Innsbruck, in
data 2 Giugno 1579, a comandare che
tutti i sudditi del Vescovado di Trento
prestassero essi pure il giuramento sopra diversi punti delle compattate.
I Giudicariesi però non capirono
questo comando, di nuovo genere
per loro, e restarono anzi saldi nel sostenere i loro diritti, provenienti da
privilegii antichi e fin allora solennemente dichiarati e confirmati da tutti
i Vescovi trentini, diritti e privilegi che
ora venivano gravemente offesi dalle
compattate. All’invito quindi del P.
Vescovo di dover firmare, come fece lui
stesso, queste gravose convenzioni, essi
rifiutarono addirittura; anzi unitisi in
comizio popolare sotto il gran Noce degli Aloisi sopra Dasindo (ecco il perché
del nome di guerra delle noci) stabilirono formalmente di negare le firme
in modo perentorio. Di più, spediti
messi a Padova, con 100 scudi si procurarono un bel ragionato Consulto dal
sig. Cefola, ferrarese e primario lettore
della Università padovana, nel quale
era chiaramente provato qualmente i
Giudicariesi non erano affatto obbligati al giuramento delle compattate. Sodi
quindi nei loro diritti, non vollero cedere per quanto paternamente volesse
persuaderneli il P. Vescovo, e recisamente si opposero avanti al Commissario politico, il Particella.
Vista questa formale opposizione al
Particella, non restò che usare la forza,
e quindi fatti venire nella valle 360 soldati regolari tedeschi, sotto il comando
del colonnello d’Arco e del commissario
Vescovile Fortunato Madruzzo, si venne a zuffa cogli uomini delle tre Pievi
di Lomaso, Banale e Bleggio, presso
Dasindo addì 18 dicembre 1579.
I giudicariesi rimasero però soccombenti, e numerosi furono i prigionieri fatti sul cimitero e nella stessa Chiesa
di Dasindo. Il giorno dopo accorsero
frettolosi ed in grandissimo numero in
aiuto de’ fratelli que’ delle altre 4 pievi,
e pel Durone vennero ad accamparsi al
Bleggio. Ma questi avendo poi veduto
schierati nella campagna di Lomaso i
soldati regolari e temendo fossero più
numerosi di quello che erano in realtà,
non ardirono attaccarli. In questo pericoloso frangente d’ambi le parti, si interpose il commissario Vescovile Madruzzo, e si limitava a chiedere il giuramento
di soli due punti delle compattate cioè:
1° Che in caso di guerra tra il Vescovo e il conte del Tirolo, restassero i giudicariesi neutrali.
2° Che, sede vacante, dovessero riconoscere il capitano tirolese.
Ma i giudicariesi erano titubanti
ancora, anzi si preparavano a dire un
no solenne e confermarlo col sangue.
Durante questo piccolo armistizio oltre 500 soldati collettizii capitarono a
tutta corsa dalla Val Lagarina e Val di
Ledro per Ballino a rinforzo della truppa regolare. I giudicariesi sopraffatti
dal numero e dalla forza, con vergogna
e confusione si dovettero sottomettere
al giuramento delle compattate, il quale realmente si prestò dai capi-famiglia
in Tione. I prigionieri fatti in Dasindo,
furono condotti nel Castello di Stenico e fatto poscia il processo, si condannarono 30 de’ più sediziosi. Tra questi
Stefano Pizzini della Pieve di Bono alle
carceri in vita; Giacomo Fostini e Colò
de’ Pazzet da Tione banditi; Antonio
Armani notaio di Fiavè a 100 ragnesi
di multa e sospeso dall’ufficio per 5
anni; Angelo Conzatti a ragnesi 300 e
sospeso per 5 anni.
– Bagattelle!!
– Ecco quanto; l’ora è tarda e a tutti
buon riposo.
– Felice notte. Grazie del racconto.
– Grazie a voi, che aveste la pazienza
di ascoltarmi. A domani.
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