domenica 27 gennaio 2013

VII. Dopo cena

VII. Dopo cena.                                                                                                              Torna all'indice
Ohe! Signor distratto? Abbiamo un po’ di conti da fare con lui questa sera. 
 – E che cosa volete dire?
 – Oggidì, andando e ritornando dalla Fonte, abbiamo sentito a carico vostro qualche lagnanza un po’ viva, e non vorressimo, noi, vostri compagni di mensa, essere partecipi della colpa eventuale. 
– S’intende, avete mille e una ragioni. Ma, di grazia, si potrebbe sapere almeno qualcuna di queste lagnanze, onde al caso rimediarvi? 
– Prima quella del sig. Trattore delle Sarche, il quale si sentì bollato dalle vostre critiche. Anzi fu qui in persona per sapere chi fosse l’ardimentoso chiacchierone. 
– Mi rincresce non averlo saputo, chè in persona avrei ripetuto quello che ho già scritto. Sono contento però di aver scritto quello che fu stampato, perché vedo che portò già i suoi frutti, e siccome il nostro albergatore delle Sarche è persona ammodo, vedrete che da qui innanzi non si farà dare più degli appunti in proposito; anzi sarà grato a quella mia distrazione, perché in avvenire avrà più concorrenti e questi, restando contenti della tavola, facilmente faranno onore anche al suo Vino Santo di fama europea. E del resto c’è altro? 
– Qualcuno si lagnò perché avete messa la Fonte Cumana al livello della Sarca, mentre è oltre 10 m più alta. 
– Capisco, costui teme forse che con ciò scapiti la purezza dell’acqua, non è vero? Ebbene, osservo a costui, che io ho scritto: quasi al livello della Sarca; e questo quasi mi par bene che valga i 10 m e più, se lo mettiamo al confronto collo spazio dalla cima del Casale alle onde del fiume. Che ve ne pare? È troppo scrupoloso costui. 
– Un’altra; siamo stati jeridì a Dasindo, ed oltre a quello che avete veduto e notato voi, vi abbiamo ammirato un dente colossale di elefante pietrificato; e questa mattina avendo fatto una passeggiata fino a Cares abbiamo osservato dei frammenti di lapidi romane nel muro del cimitero e ai lati della Chiesa, mentre nella facciata c’è poco o nulla. 
– Benedetti voi, ma non ve l’ho detto prima che le mie sono distrazioni e non attenzioni? E poi i gusti son gusti, e quello che avete ammirato voi, forse per me non era degno di ammirazione. Sentite a proposito un casetto che ho udito io stesso dall’autore con queste due orecchie. Un mio compare, contadino s’intende, ma del resto che credeva saperla lunga, fu pei suoi affari a Milano. Milano! È certo una bellissima città, e vi conta delle meraviglie spettacolose, sì che ognuno, che vi capita la prima volta, resta stupito p. e. ammirando quel colosso che è il Duomo colla selva delle sue guglie, e la magnificenza della galleria V. E. e tante altre mille cose degnissime e belle. Ebbene mi sapreste dire qual fu la cosa che maggiormente colpì d’ammirazione il mio compare? Non lo indovinate neppure se foste ipnotizzati alla Donato. Fu nientemeno, un enorme ceppo da macellaio (se ridete avete ragione), sul quale quattro garzoni tagliavano allegramente e comodamente un manzo intiero! Egli si sforzava ad assicurarmi con tutta serietà che una meraviglia tale non l’ebbe mai più veduta e che non si potea vedere al mondo! Vedete che razza di gusti, che genere di impressioni! Non fate dunque le meraviglie se anche un distratto, come son io, ha le sue impressioni e non ha tutte quelle possibili. Vedete; faccio le mie gite così alla sfuggita, per solazzo e non già per studio; questo potrebbe impedire l’effetto prodigioso delle acque, ed allora addio, povera mia gola, mi dovrei dare a studiare mutologia, alla quale per nulla mi sento inclinato. 
– Ma il dente di Dasindo è una rarità! 
– Chi lo nega? Anzi se fosse dente di Balena, come lo chiamarono certi messeri, sarebbe più che raro, sarebbe unico nel suo genere. Di questo dente già parlò un mio amico nella fu Riva Fedele e a tutte sue spese lo illustrò e ne fece fare copie in gesso che regalò ai nostri musei e senza averne un grazie; tutt’altro! Sapete che? A Dasindo, se avessi avuto tempo, sarei andato a vedere invece il famoso Noce degli Aloisi che diede il nome alla guerra delle noci del 1579; ma penso che ormai ne avran fatto tanti fucili in questo tempo di militarismo contagioso. 
– Ma come, ci fu una guerra delle noci a Dasindo? Bella quella guerra per certo, perché ne avrà ammazzato molto pochi!
– Se mi permettete, giusto così per finire il chilo, andiamo qui al fresco del glorietto e ve ne dirò quel che so!” 
– Assai volentieri, andiamo. 
– Conticuere omnes, intentique ora tenebant! Bisogna che premetta ad onor di questo popolo giudicariese, che benevolo ci ospita, che per natura sua gli abitanti delle sette Pievi sono dei più fedeli alle costituite autorità, e che nella lunga storia di queste valli due sole volte si nota esservi stato della ribellione al governo civile, e ciò se da una parte conferma la regola di fedeltà, d’altra parte lascia arguire che vi furono proprio tirati pei capelli da aperta ingiustizia. Ecco dunque il primo fatto, riservandomi a tempo opportuno accennarvi il secondo. 
A Cristoforo Madruzzo, Cardinale rassegnante addì 14 Nov. 1567, successe nella Sede Vescovile di Trento il nipote Lodovico Madruzzo. Questi per ben 10 anni stette a Roma prima di sedere nella sua cattedra vescovile trentina, perché non voleva giurare le Compattate (convenzioni) che si voleano imporgli dalla potestà civile, in mano allora di Ferdinando Arciduca d’Austria. Finalmente colla mediazione del S. P. Pio V il Vescovo nostro cedette pro bono meliori, firmò queste compattate e venne finalmente nella sua Sede. In conseguenza di ciò l’Arciduca Ferdinando si affrettò con lettera pubblica da Innsbruck, in data 2 Giugno 1579, a comandare che tutti i sudditi del Vescovado di Trento prestassero essi pure il giuramento sopra diversi punti delle compattate. 
I Giudicariesi però non capirono questo comando, di nuovo genere per loro, e restarono anzi saldi nel sostenere i loro diritti, provenienti da privilegii antichi e fin allora solennemente dichiarati e confirmati da tutti i Vescovi trentini, diritti e privilegi che ora venivano gravemente offesi dalle compattate. All’invito quindi del P. Vescovo di dover firmare, come fece lui stesso, queste gravose convenzioni, essi rifiutarono addirittura; anzi unitisi in comizio popolare sotto il gran Noce degli Aloisi sopra Dasindo (ecco il perché del nome di guerra delle noci) stabilirono formalmente di negare le firme in modo perentorio. Di più, spediti messi a Padova, con 100 scudi si procurarono un bel ragionato Consulto dal sig. Cefola, ferrarese e primario lettore della Università padovana, nel quale era chiaramente provato qualmente i Giudicariesi non erano affatto obbligati al giuramento delle compattate. Sodi quindi nei loro diritti, non vollero cedere per quanto paternamente volesse persuaderneli il P. Vescovo, e recisamente si opposero avanti al Commissario politico, il Particella.
Vista questa formale opposizione al Particella, non restò che usare la forza, e quindi fatti venire nella valle 360 soldati regolari tedeschi, sotto il comando del colonnello d’Arco e del commissario Vescovile Fortunato Madruzzo, si venne a zuffa cogli uomini delle tre Pievi di Lomaso, Banale e Bleggio, presso Dasindo addì 18 dicembre 1579. 
I giudicariesi rimasero però soccombenti, e numerosi furono i prigionieri fatti sul cimitero e nella stessa Chiesa di Dasindo. Il giorno dopo accorsero frettolosi ed in grandissimo numero in aiuto de’ fratelli que’ delle altre 4 pievi, e pel Durone vennero ad accamparsi al Bleggio. Ma questi avendo poi veduto schierati nella campagna di Lomaso i soldati regolari e temendo fossero più numerosi di quello che erano in realtà, non ardirono attaccarli. In questo pericoloso frangente d’ambi le parti, si interpose il commissario Vescovile Madruzzo, e si limitava a chiedere il giuramento di soli due punti delle compattate cioè: 
1° Che in caso di guerra tra il Vescovo e il conte del Tirolo, restassero i giudicariesi neutrali. 
2° Che, sede vacante, dovessero riconoscere il capitano tirolese. 
Ma i giudicariesi erano titubanti ancora, anzi si preparavano a dire un no solenne e confermarlo col sangue. Durante questo piccolo armistizio oltre 500 soldati collettizii capitarono a tutta corsa dalla Val Lagarina e Val di Ledro per Ballino a rinforzo della truppa regolare. I giudicariesi sopraffatti dal numero e dalla forza, con vergogna e confusione si dovettero sottomettere al giuramento delle compattate, il quale realmente si prestò dai capi-famiglia in Tione. I prigionieri fatti in Dasindo, furono condotti nel Castello di Stenico e fatto poscia il processo, si condannarono 30 de’ più sediziosi. Tra questi Stefano Pizzini della Pieve di Bono alle carceri in vita; Giacomo Fostini e Colò de’ Pazzet da Tione banditi; Antonio Armani notaio di Fiavè a 100 ragnesi di multa e sospeso dall’ufficio per 5 anni; Angelo Conzatti a ragnesi 300 e sospeso per 5 anni. 
– Bagattelle!! 
– Ecco quanto; l’ora è tarda e a tutti buon riposo.
– Felice notte. Grazie del racconto. 
– Grazie a voi, che aveste la pazienza di ascoltarmi. A domani.

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