VI.
Villa – Tavodo – S. Lorenzo. Torna all'indice
Questa volta non sono solo nella
lunga gita; un asinello compagno viene
in aiuto propizio. Dalla Fonte Cumana per ripidissimo calle siamo presto
a Villa, ove parecchi miei compagni,
bevitori d’acqua, prendono e vitto e
alloggio. Qui mi colpisce il campanile
di nuovissima costruzione, il quale disgraziatamente non sta in proporzione
colla medesima chiesuola. Sperasi che
i buoni villani penseranno anche al
principale, dopo aver compiuto l’accessorio. Nel circondario del paese e
su su fino a Sclemo vedonsi molte viti
coltivate, in qualche luogo, secondo le
regole di Nane Gastaldo; peccato che
quest’anno le abbia rovinate il gelo. Da
Sclemo, discendendo per romantica
valletta tra boschi e prati, poco dopo
eccoci a Tavodo, sede della Parrocchia
del Banale. Banale è nome generale,
come quello di Lomaso e Bleggio né
più né meno. La Chiesa è di antica
architettura, di buon gusto e ben posta. Tra la serie dei parochi di Banale,
la quale comincia già dal 1208, poco
su poco giù come di quelle di Lomaso
e Bleggio, trovo di ricordar qui Carlo
Orlando de Lutti di Poja, Dottore di S.
Teologia (1707-1763). Questi era ancora poeta e diede alle stampe coi tipi
di Gio. Ant. Brunati un opuscoletto
sotto il titolo “Le litanie della Vergine
contate in Pindo dalla Musa Toscana,
di Carlo Orlando Lutti, Trentino, Arciprete del Banale. (Si vede che la parola Trentino è da un pezzo in bocca ai
nostri sacerdoti, e non è già una moda
moderna come bestemmiano gli Austriaci ed i Tirolenses.) Questo sacerdote era poi dotato di tale memoria che
ripeteva subito e nel medesimo ordine
200 parole delle più strambe ed esotiche che gli fossero state dette una volta
sola! Morì di 89 anni, dopo 56 di parrocchia e fu sepolto nella Chiesa parocchiale, facendogli l’elogio funebre
il Dottore Carlo Agapito Mosca, Arciprete del Bleggio. Morì il nostro Dottor poeta in tale povertà che il fratello
Lodovico, Capitano di Brentonico e
poscia Consigliere Aulico di Trento,
dovette sostenere lui le spese del funerale. Nella facciata di questa Chiesa,
sotto l’atrio, evvi pure una lapide alla
memoria del D.r Giovanni Serafini di
Ragoli, medico distinto e peritissimo
nelle scienze naturali, (n’era stato professore all’università di Pavia) morto
ai 27 luglio 1850 (gettato a terra sulla
piazza di Dorsino dal proprio cavallo
ch’egli volea arrestare, mentre imbizzarito scorazzava attorno senza ritegno.
Chi aggiunge questa nota, si rammenta benissimo la grave figura del dottore
e l’obito grandioso che gli fu fatto con
un concorso straordinario di popolo.
R.) Egli è chiamato dal Perini Genio
benefico di queste Valli giudicariesi.
…Ma proseguiamo il viaggio per S.
Lorenzo. La tetra valletta per cui ora
passiamo, formata dalle corrosioni del
Rivo d’Ambies, ci lascia vedere la Tosa e
le punte vicine, ed un’aria fina fina che
discende da quelle gole, se siete alpinista, vi elettrizza, se siete poggiapiano vi
mette i brividi di spavento. Che volete? siamo fatti così, ed i gusti, sono varii ed
ancora opposti circa il medesimo soggetto. Traversato il modesto ponte del
torrente, siamo subito a Dorsino e qui la
scena è tutta mutata. Dalle ghiaje nude
della valletta siamo d’un tratto passati
alla vegetazione la più rigogliosa, ed io
credo che in questi dintorni e giù giù fino ai burroni della Sarca siavi la plaga
migliore delle Giudicarie esteriori.
Le Moline di San Lorenzo in una cartolina d'epoca (Gianni Tosi) |
Difatti a Dorsino ed a S. Lorenzo
voi ammirate i più bei vigneti coltivati
all’ultimo gusto. Se poi ne assaggiate i
prodotti, voi restate sorpreso trovandovi dei Riesling, dei Borgogna e dei
Portoghese che credete originali, e sono
invece indigeni! Eppure, dirà il lettore,
non fu qui ove per poco si introduceva il flagello delle viti, la fillossera,
coll’importazione da luoghi infetti di
majuoli e barbatelle? Si, proprio qui, e
se volete farvi additare i singoli luoghi
dove quelle viti vennero piantate, voi
troverete ora il vuoto fatto dalle disinfezioni praticate.
Anzi di più; que’ solerti viticultori
sono là tutto occhi alla ventura vegetazione, per vedere se mai potesse darsi
qualche indizio di infezione, onde subito dare addosso all’inimico. Io spero che per questa parte non v’è più da
spaventarsi per ciò; resta solo di far voti
che ovunque si pratichino con attenzione quei rigori che si usano qui, onde
tutto il Trentino ora e sempre sia esente
dal temuto flagello. Fatta una traversata
ai varii paeselli onde consta il Comune
di S. Lorenzo e visitata la stazione metereologica presso quel R. Curato, non
manchiamo di ascendere il monticello
ove sono i ruderi del Castello Mani, di
certa origine romana perché vi ricorda un tempietto ai Diis manibus. Anche di
qui godesi la più pittoresca delle scene.
A mezzogiorno voi vedete tutta l’estensione delle Giudicarie Esteriori nella sua
imponenza; a sera su su per gli orrori
della Valle d’Ambies voi scorgete le ultime nervature del Gruppo di Brenta e
salutate le nevi eterne; a settentrione la
frazione delle Moline e più su il Lago di
Molveno; a mattina il Limarò cogli abissi della Sarca che mugge tra profondi
burroni. Il punto è strategico per eccellenza, e se non vediamo alcun fortilizio,
è perché lo dà già la natura del luogo.
La strada che vi passa al piede e che poi
per Molveno si prolunga per la Valle
del Nosio, era la sola libera alla ritirata del 1866, e per questa passarono tutte
le truppe che stanziavano in Giudicarie all’ultim’ora. Ma discendiamo dal
promontorio e, mutando strada, ritorniamo per Andogno al nostro albergo.
Il ciucciarello sentendo il bisogno della
greppia, accelera il passo senza tanti stimoli, e già all’ora della cena salutano il
mio ritorno gli altri soliti commensali,
desiosi poi d’udire i poveri appunti del
mio taccuino.
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