Almanacco Agrario pel 1895, pp. 161-172
Articolo di don Guetti sui principi alla base di qualsiasi forma di associazione per il bene comune
Dopo cinque anni di reciproca conoscenza, giova sperarlo,
siamo entrati già in sincera ed intima amicizia, e quindi scuserete,
amici carissimi, se senza molti preamboli vengo ad augurarvi l'anno
di grazia 1895 prospero e felice.
Quest'augurio, voi lo sapete, mi scappa dal cuore caldo
caldo pel vero vostro bene, e perché noi possiamo concorrere a
realizzarlo assecondando le provide e generose cure del Padre nostro ch'è ne' cieli, vi verrò suggerendo anche quest'anno qualche
utilissima pratica in proposito.
Non vi dirò cose nuove, ma ripetendovi ciò che voi già
saprete, vi animerò a praticarle e per vostro bene e pel bene di
tutti. Altra volta vi predicai la Cooperazione rurale con quelle
forme che più s'adattano alla pratica tra noi, e con piena soddisfazione ne vidi luminosi effetti; questa volta lasciando che
il moto, avviato sì bene, continui il suo veloce corso, verrò suggerendovi qualche mio pensiero di vita pratica che gioverà
moltissimo a cementare qualunque associazione, che voi vorrete
iniziare a comune vantaggio.
Con ciò sono subito con voi.
1. Il vero fondamento.
Nel vivere sociale è necessaria una base solida reale e non
già apparente, perché quel qualsiasi edificio che vuolsi innalzare
a bene comune, resti saldo in piedi ad onta dell'infuriare di venti
contrarii. Questa base consiste in ciò, che nissun individuo, ossia
socio, voglia stimare sè di più di quello che in realtà egli valga.
Voi sapete che tutti noi abbiamo un po' più o un po' meno di
amor proprio, ossia stima di se stessi. Se questa stima di se stessi
si tiene nei giusti limiti del vero, l'amor proprio è giusto e
non potrà far male a nissuno; se invece passa i limiti del vero,
diventa ingiusto e riescirà a male sia dell' individuo che della
società. Non è cosa del tutto facile lo stare su questa bilancia in
giusto equilibrio e, se alcuni piegano per un verso, moltissimi
invece cascano da altro lato. Vi sono di coloro che stimano sé
meno di quello che in realtà valgono, e questo tante volte, non già
per pronunciato atto di umiltà cristiana, quanto più per indolenza
e per schivare quella qualsiasi opera o carica, se a lui si volesse
imporre pel comun bene. Un po' di ritrosia nell'addossarsi degli
obblighi sta bene, ma quando si tratta di procurare un bene ai
più, diventerebbe pusillanimità e quindi fuggiamola.
Ma molti ed i più saranno quelli che peccano di contrario
difetto, cioè quelli che stimano sè più di quello che valgono, e
questi a preferenza diventano di grave ostacolo al vantaggio sociale. L'amor proprio esagerato diventa superbia, e con questa
non attecchisce nissuna unione sociale. Eccone come:
Questo amore esagerato che noi portiamo a noi stessi, non
può essere condiviso dalla generalità degli altri, quindi noi ci
troviamo subito differenti nel pensare e nel fare. Noi esponiamo
in pubblico una nostra idea, e su questa ci teniamo molto, perché la nostra troppa stima di noi ce la fa apparire giusta; gli altri
invece che sul conto nostro non hanno questa stima così esagerata,
non ritengono l'idea esposta da noi di quel peso così giusto col
quale la stimiamo noi, e perciò vi si oppongono con altre loro
idee ed opinioni. Noi, fermi nel nostro primiero stato di stima,
sentiamo subito in noi stessi nascere un dispiacere dell' avvenuto, ed invece di conchiudere che abbiamo torto noi, il torto
lo diamo tosto agli altri, che non la pensano a modo nostro. Di
qui eccoci a bella prima un ostacolo al bene comune, ecco subito
una difficoltà alla concordia necessaria per procurare il vantaggio
di una società. Invece uno che sta nei giusti limiti del vero amor
proprio, quando vede che una sua idea esposta in pubblico dai più
non è accolta, subito si ritrae e, contento che altri abbiano esposto
idee più giuste e vantaggiose, a queste s' attiene e lascia andare
nel dimenticatoio la sua.
Dunque, come vedete, è necessario di stare ben in guardia
che questa stima di sè non sorpassi mai i giusti limiti del vero;
e se, trattando cogli altri, di ciò ci accorgiamo, invece di puntarci
in essa, lasciamo che cada il puntiglio ed addattiamoci senza
lamento ai criterii dei più; con ciò non faremo la volontà nostra,
che non è giusta in questo caso, ma faremo la volontà degli altri,
che nella maggior parte dei casi sarà anche volontà di Dio.
-
Dunque nè pusillanimi, nè indolenti, nè, peggio che peggio, egoisti
o superbi. Se i primi rallentano tante volte il corso del bene
pubblico, i secondi ne sono la rovina addirittura. La base perciò
vera e sola, ossia il vero fondamento per qualunque siasi unione, è
e sarà una giusta stima dì sè, che è sorella genuina della cristiana umiltà
*
* *
Tonio, così lo chiamavano, fornito di buone e belle qualità
di spirito e di corpo, s'era fatta un'intima persuasione che anche
tutte le idee che uscissero dalla sua mente e tutte le parole
che venivano dalle sue belle labbra, fossero il non plus ultra dal
lato della bontà e giustizia. Con tali principii in capo prese parte
ad una società di popolani di mutuo soccorso. Già a bella prima
dovette convincersi che gli altri non aveano di lui tutta quella
stima, che egli si attribuiva. Già nel trattare sullo statuto sociale
qualcuna delle sue idee dovette ringhiottirsela amaramente, perchè
rifiutata dai più dei soci. Pur pure tenne fermo nella speranza
di aversi le prime cariche sociali; e non vi so dire, se restò
amareggiato quando appena appena fu degnato di essero eletto
membro della Direzione in coda agli altri. Da queste prime lezioni avrebbe dovuto capire che qualchecosa di esagerato covava
nella sua testa; ma, signori no, non era la sua testa fuor di riga
secondo lui, ma quella, degli altri! Ed ecco quindi a reagire al
volere dei più, ad impuntarsi nelle idee sue; cosicché non v' era
proposta uscita da bocca altrui, contro la quale non trovasse di
opporre qualche cosa, e felice lui se mai la facesse naufragare
col calore della sua opposizione.
La cosa, sebbene con difficoltà, si protrasse alla meno male
fino all'anno compiuto. All'epoca delle nuove elezioni sociali, i più
volevano liberarsi di un socio così fatto, chè altrimenti il bene
sociale ne restava arenato, ma al nostro Tonio invece il caso si
presentava altrimenti. Vedeva egli colla sua sagacissima testa che
senza di lui, anzi senza di lui a capo della cosa, la faccenda non
poteva andare innanzi. E quindi l’avreste veduto perorare dì e notte,
brigare di mani e piedi per essere innalzato sul piedistallo. Poco
mancò ch'egli non riuscisse nella briga, se il buon senso comune
non s'avvedeva per tempo. Dio sa, se la società di mutuo soccorso
starebbe ancora in piedi, se le elezioni fossero state fatte secondo
le idee di Toni ; Dio sa in quali labirinti avrebbe condotta l'azienda sociale seguendo i fumi di quel suo capo caldo; fatto sta,
e fu un fatto provvido, che la maggioranza dei soci questa volta
lo escluse affatto dalla Direzione mettendo a suo posto un altro
membro che aveva più giusta stima di sé; ed ora, da quanto mi
si riferisce, la società cammina bene e prospera. Primo esempio
dunque che parla chiaro.
2. Un buon cemento.
Posto il fondamento bene, non riuscirà grave difficoltà a
sovrapporvi l'edificio. Per unire assieme il materiale occorrevole,
va da sè, è necessario un buon cemento che tenacemente colleghi
le parti in modo da divenire un tutto omogeneo. In una società
questo cemento ce lo dà in buona qualità o quantità il rispetto
reciproco, la reciproca stima, in una parola il vero amore fraterno.
Tutto questo si trova in vena feconda, prima del campo evangelico,
in quello della legge naturale segnato in quella preziosissima
particella che dice «non fare agli altri quello che non vorresti
sia fatto a te, ed invece fa ad altri quello che ragionevolmente
vorresti che ti facessero gli altri.» Ed applicando tutto ciò al caso
nostro vi dirò: Quando voi siete uniti in una società, v'arricorda,
che siete non più voi soli, ma tanti fratelli d'una stessa famiglia,
che voi non lavorate più per solo vostro conto od utile, ma per
conto di tutti, pel bene sociale. Ancora; voi dovete bene imprimervi nella mente che la sola opera vostra non è sufficiente allo
scopo comune, ma che è pur necessaria l'opera anche degli altri,
che l' opera vostra stessa per essere proficua deve accordarsi
con quella che viene altrove. Quindi se voi apparteneste anche
alla sfera più alta fra le cariche sociali, sappiatelo, che abbisognate
tanto per consiglio che per aiuto di quelli stessi che se ne giacciono in basso, terra terra, ossia appena nel novero comune di soci.
Se questi vi dicono alcunché, o vi suggerissero qualche loro proposta, voi raccoglietela, esaminatela, vegliatela e non voi solo,
ma associatevi nell'esame e nello scrutinio altri che vi stanno
a fianco, o dove trovate del buono, da qualunque parte esso venga,
tenetelo a conto e procurate di usufruirlo al comune vantaggio.
Alle volte, e forse spesso, chè tutti siamo della comune
radice d' Adamo, si avverte in noi qualche mancanza, ed evvi chi
ha il coraggio franco, o meglio la bontà di avvisarcene; non ne
abbiate a male, non gridate allo sfacciato, all'ardimentoso, al petulante, che trova in noi dei difetti, ma accogliete subito e volentieri l' avviso, o nel secreto di vostra coscienza, che ha buone
lenti per veder giusto, esaminatevi del mancamento rinvenuto e
con sincera convinzione confessatevi rei non solo, ma cercate di
porvi rimedio.
Se poi restate in dubbio sul da farsi, non solo non dovreste
rifiutare, ma dovete cercare chi vi possa consigliare al meglio,
ed i vostri consiglieri non cercateli fra coloro che vi adulano o
che sapete già in antecedenza quello che pensano di voi, ma
sempre in coloro che voi stimate per persone animate dal vero
bene comune, e sempre posate nel giudizio che emettono, anzi
non disprezzate neppure l'avviso di persone avversarie.
In tutto poi il vostro pensare, trattare e fare non vi fermate
mai al vostro personale vantaggio od interesse, ma il tutto dirigete al vantaggio comune. Nelle vostre fabbriche sociali l' io
non deve mai farsi vedere, è sempre il noi quello che deve dare
il lucido al cemento, e che deve spiccare ovunque si guardi nell' edificio. Con questo traguardo alle volte senza neppure che ce
ne avvertano altri, noi stessi ci accorgeremo di qualche neo; ed
allora subito si tolga, perché l'opra di estirpazione riuscirà più
facile. Ma più di frequente però ci capiterà il caso di ravvisare
i nei sulla faccia altrui.
Ed allora? Non veniamo subito all'operazione chirurgica di
estirparli, se prima non siamo sicuri della loro esistenza. Può essere qualche piccolo tumoretto sporadico e che passa da sé; attendiamo ; chiamiamo a consiglio altri più periti di noi, se il
male sembra perdurare; e quando si fa vedere necessario il taglio, facciamolo pure, ma non senza le cautele necessarie. Pria di tutto
avvisiamone l'amico solo, senza propagare la cosa, e vi troveremo
sempre una pronta ubbidienza quando il fallo viene da inavvertenza o spensieratezza; se proviene da pura malizia sarà forse più
difficile la pronta guarigione, ma con l'olio della carità si
guariscono gran mali. Se un primo avviso ed un secondo non
hanno l'esito bramato, la cosa deve trattarsi a consiglio, e quando
dai più è reclamato il rimedio, allora si passa ad estirpare il
male che potrebbe divenir cancrena. In questo caso non si manca
alla carità, ma vi si provvede per eccellenza. L'individuo diventa
un membro guasto che attenta a tutta l'esistenza del corpo; dunque è bene che, per salvare il corpo, sia allontanato il membro
guasto. A queste operazioni difficili e, se vuolsi, dolorose, raramente, io lo spero, si verrà, quando il cemento della reciproca carità
fraterna si troverà in abbondanza nell'edificio sociale; e se mai
il caso avvenisse, sta bene che nella medesima carità abbiamo
belli ed in ordine tutti i mezzi per toglierlo a comune salvezza.
*
* *
Nino, che sua madre abbreviò da Giovannino, primo figlio di
ricca famiglia, crebbe bene istruito e, dopo la gioventù passata
senza tante burrasche, entrò nell'azienda domestica a sollievo del
vecchio padre, al quale poscia succedette nella grossa eredità. La
sua parsimonia o l'esempio ancor più dei provvidi genitori, anziché
diminuire, fece crescere non poco l'asse paterno; anzi col progredire degli anni cresceva in lui l'amore all'accumulare. Senza
offendere la giustizia, ma solo coll'attendere al suo interesse, ben
presto superò in sostanze i più benestanti del Comune, sicché sia per la richezza, sia ancora per gli aiuti pecuniarici che solo
poteva dare in buona quantità a chi ne abbisognava e ne dava
sicura garanzia, avea attorno a sè numerosi coloro che lo temevano, lo rispettavano, od anche in certo modo gli volevano bene.
Volle la provvidenza che nel vicino comune da qualche
anno s'impiantasse e trionfasse un' associazione di consumo tra
contadini; e che un desiderio simile fosse venuto anche agli amici
e vicini del nostro Nino, è cosa facile l'immaginarselo. Ma come
si fa a fare attecchire nel Comune tale faccenda se a Nino non
accomodasse, chè da lui veniva il nuvolo ed il sereno per tutte le
faccende? Coloro che si dicevano suoi amici, lo avvicinano e gliene
tengono parola, e per animarlo naturalmente gli assicurano le prime
cariche sociali. La cosa si fa e riesce come appunto la ebbero
combinata gli amici. Ma già sulle prime mosse l'io vi fece capolino
per bene, e molti passi che faceva la società, venirono a risuscitarlo di quando in quando. Non mancò chi per tempo s'accorse
della mala piega, ed ebbe il coraggio di avvisare Nino che di questo passo il bene comune non s'avvantaggiava, ma furono avvisi
perduti al vento. La reazione dei veri amanti dell'edificio sociale
s'andava aumentando e nel consiglio e nel comune de' soci, e
conosciuto il male, e visto vano l'attendere la guarigione spontanea,
si venne a consulto medico e si decise l'epurazione della piaga.
Nino e i suoi fedelissimi s'arrabbattarono a tutta forza perché non
fosse fatta la poco gradevole parata, ma dovettero subirla più o
meno in santa pace. Le membra cancrenose vennero separate da
quelle sane e il corpo continua ancora vegeto e prosperoso. Non
v'ha dubbio che le parti staccate avranno gridato alla mano
crudele del chirurgo che diresse e fece l'operazione, ma non fu
crudeltà; fu invece carità e carità cristiana, giacché di fronte all'interesse dei pochi, fu l'interesse di tutti ch'ebbe il trionfo.
Oh quanto meglio sarebbe stato che il cemento della carità fosse
stato abbondante da principio, reale e non apparente! Quanto
resterebbe più solida la fabbrica ben cementata nell'impianto, che
dover rimediarvi dopo che è abitata! Attenti dunque, o cari amici,
e nel peggiore dei casi vi sovvenga dell'esempio di Nino, e non
già per imitarlo, mi capite bene, ma per evitarlo e farlo evitare.
3. Scelto materiale.
Mo’ sicuro! Oltre al fondamento, al buon cemento per erigere
e completare perfettamente un edificio, occorrerebbe ancora un
buon materiale. Non tutte le pietre p. e. sono buone per fabbrica. Se ne danno di tali, che appena tolte dalla cava e messe
allo scoperto ed alla reazione dell'aria e del sole si sgretolano
e vanno in frantumi: altre non s'addattano a nissun colpo di
martello, che, piuttosto che lasciarsi pulire, si spaccano a mezzo;
altre che non lasciano attecchire il cemento per buono che sia.
Ancora; non tutto il legname è buono per fabbrica; èvvene
di quello che facilmente si piega per poco peso gli si addossi,
come non manca l'altro che è facile preda del tarlo e del marciume.
Un buon artista muratore o falegname quindi non prende qualunque materiale gli si para innanzi, ma ne fa giudiziosa scelta,
e solo per questo, quando ha compiuta la fabbrica, non fatica per
garantirla anni ed anni.
In egual modo, miei amici agricoltori, dobbiamo edificare
noi nelle varie associazioni che vi raccomandammo altri anni.
Il materiale buono ci deve venire dal complesso dei nostri soci.
Non qualunque persona che ci si presenta subito innanzi ha in sé
il buon elemento di essere buon socio. Anzitutto dovete attendere
se mai a bella prima vi sia dato di vedervi qualche marciume o
proclività a qualche tarlo, in modo, che appena lo avete scelto,
doveste poscia scartarlo. Risparmiatevi tosto tale briga poco gradevole, e rifiutatelo fin da principio. Questa operazione tante volte
riesce rincrescevole sia dal lato dell' amicizia, e più della parentella o di qualsiasi altro movente privato; non a questi criteri si
deve guardare, ma è al complesso dell’edificio sociale cui bisogna
attendere, e di fronte a questo deve cedere tutto, e private amicizie
e nipotismi e parentele e qualsiasi intenzione di privato vantaggio.
Perché non andiate al buio nella scelta di buon materiale, ossia
di buoni soci, vi accennerò alcune delle buone qualità che dovrebbero avere, così in generale parlando.
La prima qualità che mi addita l'esperienza fatta fin qui,
si è quella di un carattere franco, sincero e fermo. Se conoscete
un tale che vi espone l'idea sua con franchezza, col cuore in
mano, e che non piega facilmente ad ogni spirare di vento, ma
batte con costanza la via buona intrapresa, questi ha buonissima
stoffa per divenire socio delle nostre unioni, e coprirne per fino
le prime cariche. Come li trovate franchi nell'esporre l'animo
loro, li troverete pronti ad abbracciare anche le giuste proposte
che venissero da altri di eguale carattere. Se invece vi si presenta
innanzi gente chiusa, che perfino i più vicini non sanno se sia
carne o pesce, non vi affrettate ad accettarla in seno alla società;
invece di un innocuo od utile compagno, potrebbe essere o divenire una serpe velenosa che vi attossica.
Altra ottima qualità è quella d'esser giusto a prova di bomba,
cosa che il nostro popolo battezza col nome di vero galantuomo.
Chi sa difendere il suo nei giusti limiti della giustizia, chi sa
rispettare con tutto lo scrupolo quello che è degli altri; deve
avere sempre la porta aperta nelle nostre associazioni. Non importa a noi sia esso ricco o povero, nobile o plebeo, artiere o
contadino, possessore o manente, padrone od operaio; a noi interessa che, chiunque esso sia, entrando nelle nostre società, vi
porti il credito e non già la diffidenza, vi porti la certezza del
buon nome, non il dubbio di incerta fama.
Le Direzioni sociali son quelle che vengono chiamate ad
accettare o meno i soci eventuali, ed a loro spetta il primo giudizio sulle buone qualità di questi. La direttiva generale che
deve avere innanzi agli occhi una Direzione quando esamina la
domanda di un socio per entrare nel gremio sociale deve essere
questa: il presente individuo, che domanda di entrare nella nostra
unione, è tale persona che porterà un aumento di credito alla
società? Sta bene, e utile per la società ch'esso ne faccia parte?
Se la risposta è affermativa, senza nissun dubbio, allora si accetti
senza paura; se la risposta fosse dubbiosa o peggio che peggio
negativa, allora si respinga senz'altro la domanda. Le nostre società saranno fiorenti, avranno credito, non già per la quantità
dei soci, ma per la loro qualità. Tanti soci e di ogni colore e
fama porteranno la confusione, l'arenamento, la babilonia, il patratrach; pochi invece e bene scelti saranno come i pochi scelti
da Gedeone che condurranno a sicuro trionfo ed a finale vittoria
le nostre associazioni.
*
* *
In un paesello del vicino Veneto, due anni fa, veniva istituita
una nuova Cassa rurale, e n'era direttore il parroco del luogo.
Finché restò quel parroco, al quale eran ben note tutte le norme
per il buon andamento dell'associazione, l'opera s'incamminò
bene e fece progressi. Ma un anno dopo il parroco veniva traslocato in posto migliore di cura d'anime, e per necessità fu messo
altro direttore alla Cassa rurale. Era un buonissimo laico, tutto
cuore e zelo per la novella istituzione. Ma la sua troppa bontà,
se non fosse stato provveduto a tempo, era per rovinare il nuovo
edificio. Dopo la partenza del parroco si presentarono per farsi
soci non pochi individui che da prima non si erano fatti vedere.
Era per lo più gente fannullona, poco economica, facile alle brighe
ed ai puntigli, insomma la feccia della piazza e della bettola.
La nuova direzione con a capo il buon'uomo di direttore
ne esaminò le singole domande, e chi per commiserazione, chi
colla speranza di ottenere un miglioramento, chi per interessate raccomandazioni e chi per parentela, tutte quelle domande furono
accolte, e una dozzina di nuovi soci vennero inscritti nella matricola
sociale.
Il nuovo direttore gongolava dalla gioia al veder crescere
la società, s'aspettava ogni bene, e quindi mieteva un plauso generale. Ma chè? arrivata la notizia al lontano parroco, questi, più
pratico delle cose, subito s'avvide dello sproposito fatto e ne
scrisse al nuovo direttore una tal paternale che metà sarebbe stata
sufficiente. Il buon uomo aprì gli occhi e stette attento alle istruzioni ricevute, e ben tosto venne egli ad intendere che accettando
quegli individui aveva fatto più male che bene. Una settimana
dopo p. e. un socio de' più stimati del paese, con scuse non del
tutto esaurienti, diede la sua disdetta di socio. Ecco, gli scrisse
il parroco, un primo effetto del vostro procedere poco prudente;
i veri galantuomini fuggono dalla compagnia dei poco buoni e
degli imbroglioni. Un mese dopo si tiene un' adunanza generale
e gli ultimi venuti avanzarono delle proposte che a mala pena il
buon senso di tutti fece a stento cadere. Ecco, gli scriveva il paroco, un altro effetto della vostra accettazione frettolosa in favore
di gente sulla quale non bisogna fidare. Fortuna, ripeto, che gli
avvisi del buon prete giunsero a tempo per scongiurare il pericolo; la porta della società fu tenuta tosto chiusa agli indegni,
altrimenti il patratrach era vicino.
Dunque pochi ma buoni; pochi ma bene intenzionati, pochi
ma galantuomini a tutta prova devono essere i soci delle nostre
unioni. Queste saranno quelle pietre che faran durare l'edificio
anni ed anni, questo quel materiale bene scelto che unito dal cemento buono e posato sul vero fondamento renderà solide per un
lontano futuro le nostre rurali associazioni.
Per finire.
Un dialogo sentito colle sue proprie orecchie da D. Mentore.
Nane. Che cosa vuol dire quell'inscrizione là in alto sotto
la finestra del signor Don Mentore?
Gigio. Non sai? Abbiamo anche noi la nostra Cassa rurale
e fa del gran bene al paese.
Nane. Oh! guarda! Quando sono andato in America sei anni
fa, non si sapeva niente di casse rurali, so che c'era una Cassa
a Rovereto, una a Trento, ma nei paesi più alti di montagna come
il nostro, neppur si sognava di queste cose.
Gigio. Devi poi sapere che vi sono, oltre alle Casse rurali,
anche le Famiglie Cooperative che tengono i loro magazzini dove
c'è tutto il necessario per vivere ed a buoni prezzi...
Nane. Tutta sta roba? Son due giorni che sono ritornato
dall'America e mia moglie non mi ha detto ancora niente di tutto ciò.
Gigio. Delle Casse rurali ve ne sonno tre o quattro che funzionano, dei magazzini poi ce ne sono già sette nelle nostre Giudicarie ed altrettanti in altri paesi, e il nostro D. Mentore mi diceva che se ne stanno impiantando altri ancora, in modo che in
brevi anni ce ne saranno dappertutto.
Nane. E a queste società si può prender parte tutti? C’è interesse a farlo? Ci sei dentro tu?
Gigio. Io mi son fatto socio subito, tanto quì nella Cassa
rurale, quanto nella Famiglia Cooperativa e l’interesse l’ho trovato subito e grande.
Nane. Allora vado a farmi socio subito anch’io…
Gigio. Piano Nane; non tutti si accettano per soci veh! Bisogna essere galantuomini; bisogna aver buon credito, cioè un
buon nome: non essere un tanto piglia tanto mazza; infatti, mi
capisci… e poi bisogna farne domanda; questa domanda passa in
esame sotto la Direzione e se trova le buone qualità, la si accetta,
se no viene rifiutata.
Nane. E s’io facessi questa domanda potrei essere accettato? È vero che prima di andare in America, era un mezzo
balandra e a dirti il vero neppure in America non ho fatto del
tutto giudizio… ma…
Gigio. Ascolta, Nane; non arrischiarti a fare la domanda
adesso; fa prima giudizio dal tutto; mettiti di schiena al lavoro
che ce n’è qui quanto vuoi; lascia quella maledetta bettola e poi
ti assicuro che ti accetteranno di certo.
Nane. Per bacco voglio fartela vedere, e birba chi manca.
Gigio. Bravo: mettiti da senno, e noi non ti rifiuteremo.
Don Mentore.
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